4
Feb
2011
“Il cane che parla”(1942)di Giorgio Scerbanenco- Sellerio 2010
Nel
settembre del 1942 la casa editrice Mondadori nella collana dei
Romanzi della Palma pubblicò “Il cane che parla”, il quinto ed ultimo
Giallo di Scerbanenco con Arturo Jelling. Ricordo perfettamente la sua
copertina con una giovane donna e il suo bellissimo cane lupo in primo
piano. Non lo lessi da ragazza, l’ho letto adesso nella riedizione della
Sellerio con l’eccellente postfazione del professor Pirani.
Confesso subito che il romanzo mi ha colpita per la coesistenza al suo interno di elementi realistici o almeno verosimili e di altri poco credibili se non assurdi.
Il giallo inizia nel più classico dei modi. In un pomeriggio di fine
estate,un’allegra brigata composta da intellettuali( scrittori, poeti,
giornalisti ed editori) ritorna in treno a Boston dopo aver passato una
breve vacanza nella lussuosa dimora del loro “collega” Marino Grant. Ad
un tratto il Direttissimo FFF463 si arresta perchè è stato azionato il
segnale d’allarme. Tutti si affacciano ai finestrini, ma è il grande
poeta Aroldo Banner ad essere centrato da due colpi di fucile sparati da
una fitta boscaglia. Tutto lascia supporre che l’assassino sia Marino
Grant la cui casa si trova in cima ad una collina prospiciente la
stazione di Corsey dove è avvenuto il delitto. Il capitano Marulay non
ha dubbi, ma li ha Jelling inviato sul posto dalla polizia di Boston.
La soluzione Grant gli sembra, infatti, troppo facile per quello che
definisce “un delitto preparato con grande abilità”*. Quindi si dà alle
indagini con la meticolosità che gli è peculiare. E qui iniziano le
“inverosimiglianze”. La Boston che Scerbanenco descrive è più sfocata e
caricaturale degli altri libri della serie ,ennesima conferma dei danni
che la censura fascista ha arrecato alla letteratura poliziesca
nazionale quando ha costretto scrittori di ottimo e buon livello a
collocare le loro storie in ambienti e paesi mai visitati. E poi entrano
in gioco due cani lupo, Ciannell e Páin, le cui doti sono davvero fuori
da ogni norma. Pain, che è il cane dell’unica donna, la scrittrice
Fiorella Garrett, riconosce con l’olfatto se un essere umano è “buono “o
“cattivo”(Jelling è “buono”!), chiede a colpi di muso l’ora e la ripete
usando le due zampe, consegna lettere della padrona “interrogando” i
passanti per strada. Quanto a Ciannell, che è il cane di Dady Dadies, fa
di più, molto di più……….
Nonostante ciò, “Il cane che parla” merita di essere letto, perchè ha il fascino della scrittura e della fantasia del grande Scerbanenco.
Confesso subito che il romanzo mi ha colpita per la coesistenza al suo interno di elementi realistici o almeno verosimili e di altri poco credibili se non assurdi.
Il giallo inizia nel più classico dei modi. In un pomeriggio di fine
estate,un’allegra brigata composta da intellettuali( scrittori, poeti,
giornalisti ed editori) ritorna in treno a Boston dopo aver passato una
breve vacanza nella lussuosa dimora del loro “collega” Marino Grant. Ad
un tratto il Direttissimo FFF463 si arresta perchè è stato azionato il
segnale d’allarme. Tutti si affacciano ai finestrini, ma è il grande
poeta Aroldo Banner ad essere centrato da due colpi di fucile sparati da
una fitta boscaglia. Tutto lascia supporre che l’assassino sia Marino
Grant la cui casa si trova in cima ad una collina prospiciente la
stazione di Corsey dove è avvenuto il delitto. Il capitano Marulay non
ha dubbi, ma li ha Jelling inviato sul posto dalla polizia di Boston.
La soluzione Grant gli sembra, infatti, troppo facile per quello che
definisce “un delitto preparato con grande abilità”*. Quindi si dà alle
indagini con la meticolosità che gli è peculiare. E qui iniziano le
“inverosimiglianze”. La Boston che Scerbanenco descrive è più sfocata e
caricaturale degli altri libri della serie ,ennesima conferma dei danni
che la censura fascista ha arrecato alla letteratura poliziesca
nazionale quando ha costretto scrittori di ottimo e buon livello a
collocare le loro storie in ambienti e paesi mai visitati. E poi entrano
in gioco due cani lupo, Ciannell e Páin, le cui doti sono davvero fuori
da ogni norma. Pain, che è il cane dell’unica donna, la scrittrice
Fiorella Garrett, riconosce con l’olfatto se un essere umano è “buono “o
“cattivo”(Jelling è “buono”!), chiede a colpi di muso l’ora e la ripete
usando le due zampe, consegna lettere della padrona “interrogando” i
passanti per strada. Quanto a Ciannell, che è il cane di Dady Dadies, fa
di più, molto di più……….Nonostante ciò, “Il cane che parla” merita di essere letto, perchè ha il fascino della scrittura e della fantasia del grande Scerbanenco.
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